Acqua e Cielo. Il culto di Mefite e le stagioni
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Acqua e Cielo. Il culto di Mefite e le stagioni

Nascosti dalla folta vegetazione, che ricopre verdeggiante il massiccio del Matese, sono i resti di abitati ed aree sacre edificati dai Sanniti in siti d’altura, posizione favorevole allo sviluppo delle proprie comunità e al controllo delle terre di prossimità. Una presenza antropica capace di lasciare, di secolo in secolo, tracce di suggestiva monumentalità che raccontano il vissuto, il creato e la sacralità dei luoghi. Un complesso rapporto con l’elemento naturale dal quale l’uomo ha tratto risorse, innalzato difese e tracciato cammini mantenendo ferma nel tempo la non semplice convivenza con gli eventi ambientali avversi. Tra questi monti, a 953 metri di quota, a contatto visivo con la valle del Tammaro, sorge il centro fortificato (Terravecchia) espugnato dal console Lucio Papiro Cursore nel 293 a.C. durante la III guerra sannitica. Poco distante, a metà strada tra la Saepinum romana e la roccaforte sannitica, in località San Pietro dei Cantoni, è stato edificato il santuario italico dedicato a Mefite, dea delle sorgenti che sovrintende la sfera amorevole della maternità, propizia gli scambi, i riti di passaggio e mette in contatto gli dei eterei con la terra. L’acqua, che fluisce dalla terra o proviene dal cielo, diventa così l’elemento di unione tra l’uomo e il divino e con il suo scorrere continuo e irruento dona vita, rinnova i tempi e riveste di sacralità i cammini delle genti.
Mefite, dea multiforme
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Mefite, dea multiforme

Limpida, rigogliosa, energica, l’acqua sgorga dalle montagne matesine, scorre tra i boschi e come elemento della natura in perenne movimento, si manifesta, permea il terreno, cura e genera vita. Nella cultura italica la risorsa idrica è il simbolo sacro che accoglie la devozione dell’uomo e rivela le intercessioni divine di Mefite, dea dell’universo femminile capace di mostrare agli uomini quanto è nascosto. Come l’acqua, muta nella forma e nella forza, nutre e fornisce sostentamento. Le preghiere rivolte a colei che è nel mezzo, tra il cielo e la terra, si innalzano con il respiro degli alberi affinché siano protetti gli affetti domestici ed il lavoro agricolo, si favorisca la procreazione umana ed animale, ci sia sostegno nei passaggi della vita o nella transumanza degli armenti durante l’anno. Tra gli ex voto offerti nel santuario di San Pietro dei Cantoni, è stata ritrovata una splendida statuetta bronzea raffigurante Mefite, dono di Trebis Dekis. La dea ha le sembianze di una giovane donna e sorregge nella mano sinistra un’anatra migratrice, piccolo volatile simbolo dell’alternarsi delle stagioni e connettore tra la volta celeste e il mondo terreno, poiché capace di volare e vivere presso le dolci acque in cercadi ristoro. Come una sorgente generata dal ventre della terra, con il suo flusso vibrante Mefite manifesta la sua energia poliedrica e multiforme, accompagna gli uomini nelle stagioni della vita e offre la sua protezione divina a quanti si affidano a lei.
I doni alla dea: l’orecchino a protome leonina
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I doni alla dea: l’orecchino a protome leonina

Tra le montagne, sull’ampia e soleggiata terrazza realizzata dall’uomo, sorge l’area sacra di San Pietro dei Cantoni, luogo preposto alla preghiera protetto da un recinto murario realizzato in opera poligonale. Al suo interno, presso i due edifici sacri erano celebrati i culti in onore delle divinità care al mondo italico, la dea Mefite ed Ercole, a cui erano offerti ex voto di ringraziamento e preghiera al fine di ottenere protezione, fertilità, sollievo, cura. Dal deposito votivo, contenente un variegato repertorio di oggetti riferibili al III secolo a. C. offerti a Mefite, si manifesta nella sua interezza il mondo devozionale femminile. Da qui proviene una coppia di orecchini d’oro a forma di cornucopia con protome leonina, splendido e prezioso gioiello di produzione tarantina che una offerente ha affidato alla dea come invocazione futura o promessa da mantenere a seguito di una intercessione divina ricevuta.
L’acqua attraverso la città
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L’acqua attraverso la città

Con l’elezione a rango di municipium inizia una fase di grande fervore edilizio sul preesistente insediamento sannitico al quale sono conferite forme urbiche e monumentali. Per garantire l’approvvigionamento idrico si sceglie di sfruttare il deflusso naturale delle acque causato dal tenue declivio del terreno; su questo orientamento si imposta il Foro, la grande piazza lastricata dalla forma trapezoidale delimitata da due canalette di scolo poste sui lati est e sud affinché, assecondando la lieve pendenza della superficie, le acque piovane fossero convogliate nella grande fognatura sottostante la pavimentazione. Poco distanti dall’innesto con la conduttura, lungo il lato nord orientale del Decumano, non a caso troviamo il quartiere industriale, le terme pubbliche, la splendida Fontana del Grifo con il chiusino in pietra e il Mulino, una struttura composta da una fossa rettangolare nella quale era collocata una ruota idraulica manovrata mediante il getto d’acqua. Un sistema di piccole chiuse con guide in pietra determinava la pressione necessaria al movimento delle mole disposte nel vano alle spalle della fossa, che producevano energia utilizzabile per funzioni e scopi diversi.
La città sotto la città: la fistula plumbea
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La città sotto la città: la fistula plumbea

Seguendo l’impianto urbanistico di Saepinum è possibile riconoscere soluzioni d’ingegno applicate per favorire l’approvvigionamento idrico e per convogliare le acque in maniera funzionale verso le costruzioni evitando problemi legati al ristagno. Alla città costruita in superficie, distinta tra quartieri residenziali e aree pubbliche, corrisponde un ampliamento che si muove al di sotto delle strade e degli edifici, i cui impianti non sono visibili ma risultano connessi alle strutture urbane sovrastanti. Si tratta della articolata rete fognaria per la fornitura pubblica e privata che si congiunge al complesso sistema idrico di superficie composto di canali, cisterne, pozzi, fontane e tombini. Nel corso degli anni, sono stati rinvenuti numerosi frammenti di fistulae acquariae realizzate in piombo, i cui resti testimoniano gli utilizzi e le pratiche legate all’acqua ma riportano anche i nomi dei benefattori che hanno promosso la realizzazione delle infrastrutture a funzione pubblica. Nella condotta idrica ritrovata nel complesso campus-piscina-porticus è riportata l’iscrizione a rilievo di Lucius Saepinius Abascantus, artigiano che probabilmente aveva assunto il lavoro di posa delle tubature dell’acquedotto per conto della municipalità.
Presenze di ritorno
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Presenze di ritorno

Con il susseguirsi di periodi instabili determinati da guerre e continue incursioni nemiche, l’area in pianura diventa insicura e la popolazione si rifugia nelle zone montane più facilmente difendibili. Saepinum con il suo esiguo presidio insediativo prende il nome di Altilia mentre la comunità si disperde rifugiandosi presso i siti antichi abbandonati in epoca imperiale. A Terravecchia, all’interno della cinta sannitica è stata rinvenuta una torre quadrata e dai materiali ceramici invetriati e smaltati si attesta la frequentazione dell’abitato fortificato fino al XIV secolo. La rioccupazione del santuario italico a San Pietro dei Cantoni ha probabilmente mantenuto la funzione sacra dei luoghi, ospitando la costruzione di un edificio ecclesiale cristiano edificato sulle residue strutture del tempio, poi abbandonato tra il VII e l’VIII secolo. In questa fase si sceglie un’altra località d’altura per la fondazione del Castellum Sepini (attuale centro abitato di Sepino), che eredita la vocazione insediativa della città romana. Fondamentale per la costruzione di questa nuova realtà è la ricca presenza di sorgenti e corsi d’acqua che, all’interno delle mura e nelle sue adiacenze, conferiscono ancora oggi acqua limpida alla popolazione tramite le numerose fontane pubbliche. L’acqua segna il tempo con il suo fluire continuo e rinnova il rapporto tra gli abitanti e le terre.
Il recupero dell’antico: la Fontana del Mascherone
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Il recupero dell’antico: la Fontana del Mascherone

La pratica di recuperare materiale architettonico proveniente da contesti in abbandono ha notevolmente interessato Saepinum, centro che ha vissuto una prolungata e continuativa fase di spoglio degli elementi ritenuti utili alla realizzazione di nuovi contesti di vita. In paese, se si osservano con attenzione le abitazioni moderne, è possibile ritrovare le tracce di reimpiego del materiale sporadico proveniente dalla città romana, trasportato in collina nel corso del tempo. Ilmonumentale bassorilievo di un bellissimo volto virile accoglie quanti giungono a Sepino: esso è stato collocato all’esterno della Porta Orientale del borgo e, nella composizione realizzata con altri materiali di recupero, costituisce il personaggio principale della cosiddetta Fontana del Mascherone. L’uomo dalla folta chioma e riccioluta barba presenta la bocca aperta affinché, originariamente, potesse sgorgare copiosa l’acqua proveniente dal complesso idraulico di cui faceva parte, oggi ignoto. Nell’arte antica, le divinità fluviali sono raffigurate con caratteri umani, la forma dell’acqua diventa corpo o volto, e impersonifica lo spirito della forza idrica che generosa offre il suo getto limpido per dissetare, rigenerare e dare nuovo principio alle cose.

IL MOVIMENTO E LO SCAMBIO
Le vie di comunicazione