La profondità dei boschi. Il paesaggio e la natura
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La profondità dei boschi. Il paesaggio e la natura
Imponente, maestoso e selvaggio, il Massiccio del Matese si staglia con forza alle spalle della città romana, fungendo da baluardo naturale a protezione della piana sottostante e dei suoi abitanti. Queste montagne, di origine carsica, sono tra i rilievi più significativi dell’Appennino meridionale, con i loro ampi versanti ricoperti da fitte foreste che ne seguono il tracciato, mentre le vette, ripide e frastagliate, rivelano la natura rocciosa di questi monti. L’acqua, che modella e scolpisce il paesaggio, scorre lungo i fianchi montuosi, scomparendo tra gole e profonde forre, alimentando la vegetazione, i piccoli borghi e le comunità locali. Questa ricchezza naturale ha da sempre costituito una risorsa fondamentale per le popolazioni della zona, che hanno saputo gestirla con saggezza, mantenendo un equilibrio tra uomo e natura. La gestione sostenibile dei boschi ha permesso di conservare la biodiversità, proteggendo le diverse specie vegetali e animali nonostante l’uso del patrimonio forestale, indispensabile per il fabbisogno delle comunità. I maestosi faggi, le robuste roverelle, i forti cerri, i generosi castagni e le altre specie arboree compongono un paesaggio straordinario, che ospita una varietà di animali selvatici, stanziali e migratori.
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Legno per costruire, per produrre, per trovare ristoro
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Legno per costruire, per produrre, per trovare ristoro
La possibilità di attingere alla variegata risorsa boschiva del Matese, composta da differenti qualità di legname, ha avvantaggiato la pratica costruttiva, le attività economiche e lo svolgimento di azioni quotidiane. Il legno è tra i materiali maggiormente utilizzati nel mondo antico, le sue caratteristiche lo rendono duttile, versatile, adattabile ai diversi contesti e facilmente sostituibile. Tanti sono stati gli usi possibili del materiale e dei suoi derivati: dagli alti tronchi si ricavavano le travi per i solai e gli steccati, i pali per i ponteggi e le centine, le assi per le coperture e i piani d’appoggio; con i legni pregiati si realizzavano arredi, opere artistiche, accessori e suppellettili mentre da quelli più tenaci si producevano i mezzi di trasporto, strumenti agricoli ed artigianali, serramenti e giocattoli. Grandi quantità di legname erano poi impiegate nei forni delle terme, nelle officine e nelle botteghe artigianali, nei templi durante i rituali o nelle cucine e negli ambienti riscaldati delle domus per trarre calore nei lunghi inverni appenninici. Un ampio impiego che ha lasciato labili tracce poiché la natura organica del materiale è fortemente soggetta alla decomposizione, all’attacco di parassiti e alla combustione accidentale. Eppure, del legno rimane l’impronta della propria presenza nei cardini incisi sulle soglie in pietra, nei vuoti delle buche pontaie, negli incassi per le chiusure a saracinesca delle porte monumentali, nei solchi dei carri che hanno attraversato il Decumano rinnovando antichi percorsi o tracciando nuove destinazioni.
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Tra gli antichi paesaggi
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Tra gli antichi paesaggi
Passeggiando nel Parco Archeologico di Sepino è possibile riconoscere tante specie arboree cresciute presso le case coloniche, tra i prati erbosi o attorno ai borghetti contadini. Sono alberi da frutto, piante ornamentali e da taglio nate in modo spontaneo tra le antiche strutture o volute dall’uomo per segnare confini, ricavare frutti e offrire frescura mentre le greggi erano al pascolo. Presenze silenziose che rappresentano l’ultima generazione arborea di paesaggi ereditati che, sostituendosi ed alternandosi nel tempo, hanno convissuto con le civiltà antiche. Le recenti ricerche archeobotaniche hanno permesso di individuare resti vegetali dai quali è possibile riconoscere pratiche d’impiego ed abitudini alimentari del passato. Le tracce organiche si riferiscono a piante da frutto (melo, pero e sorbo), alberi del bosco misto (faggio, carpino, castagno, noce, querce), specie ormai estinte come l’abete bianco e il tasso, piante cerealicole e legumi. I primi dati indicano una ricca varietà di specie vegetali presenti nei giardini delle domus, negli orti urbani o negli spazi lasciati incolti, ma la prosecuzione dello studio scientifico ci fornirà ulteriori dati sulle tipologie di alberi e piante che facevano parte del paesaggio antico.
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Il Corniolo dal legno leggendario
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Il Corniolo dal legno leggendario
Resistente, versatile, armonioso: l’albero di corniolo è una pianta rustica facile da coltivare, si adatta a qualsiasi contesto climatico e dalla sua splendida infiorescenza gialla nascono le gustose corniole. Il nome della pianta allude all’estrema durezza del legno che lavorato diventa liscio, lucente, compatto come una pietra dura o un corno levigato. Robustezza e durata del legname rendevano il corniolo adatto alla realizzazione di ruote, aratri, attrezzi, oggetti decorati e armi. Tali qualità erano apprezzate nel mondo antico pertanto l’albero è stato collegato alla genesi dei popoli e ad alcuni racconti leggendari. Plutarco narra che Romolo abbia lanciato con vigore un’asta di corniolo per definire il confine della città eterna, simboleggiando così la fondazione e l’espansione di Roma. Nell’Eneide è descritto come albero sacro ad Apollo presente sul Monte Ida, prossimo alla pianura di Troia. Da questo bosco i greci presero il legname necessario per la costruzione del famoso cavallo ideato da Ulisse; dopo averlo levigato e modellato diedero vita all’inganno e, quando la scultura fu introdotta nelle mura troiane, solo Cassandra riuscì a non cedere allo splendore e alla magnificenza del manufatto. Un legno leggendario carico di significati simbolici e religiosi, divenuto parte della mitologia e della storia dell’uomo.
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Il Noce dei bambini e degli sposi
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Il Noce dei bambini e degli sposi
Maestoso, saggio, solitario: il noce è l’albero dal portamento solenne, la sua ampia chioma si espande rigogliosa sul tronco robusto, esprimendo la propria presenza nello spazio che lo circonda. Una pianta coltivata dai tempi remoti per il valore versatile del suo pregiato legname e per le sostanze nutritive contenute nei frutti, in passato impiegati anche nelle pratiche mediche come rimedio da adottare su ferite infette o per lenire dolori. Nella tradizione romana le noci erano associate alle fasi più importanti della crescita di un individuo. Virgilio racconta che nei cortei nuziali il lancio del frutto indicava che per gli sposi era conclusa l’epoca dei giochi e si entrava nella vita adulta. La ritualità del gesto auguravabenedizioni alla famiglia che stava per nascere e saggezza per il nuovo tempo dell’esistenza. I fanciulli romani portavano sempre una sacca attaccata alla cintura contenente delle noci con cui facevano giochi fantasiosi. Nel poemetto Nuces,attribuito a Ovidio, sono descritte le gare che i ragazzi amavano praticare soprattutto nei Saturnalia. Le noci rappresentavano il tempo dei bambini e dell’esperienza ludica-formativa dell’infanzia racchiusa nell’espressione relinquere nuces: nel “lasciare le noci” i romani accoglievano la responsabilità di essere cresciuti nel ricordo della fanciullezza vissuta.
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La Quercia sacra a Giove
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La Quercia sacra a Giove
Regale, possente, secolare: la quercia è la regina del bosco, solida, cresce lentamente e propaga la sua folta chioma fino a diventare maestosa. Una presenza imponente, longeva, che alterna foglie gialle dai caratteri maschili con fiori femminili tinti di verde e, come una guardiana del tempo, si radica al suolo per resistere alle tempeste. Essa interpreta il vigore morale e la forza dei popoli, un’integrità che si fa divina nella tradizione antica. Plinio il Vecchio descrive la sacralità ancestrale dei boschi e ricorda il legame esistente tra le specie arboree e il culto delle divinità a cui erano dedicate le presenze vegetali. La quercia è l’albero della Dea Madre, genitrice primordiale e primigenia, ma la pianta era anche sacra a Giove, padre degli dei e degli uomini, signore dei fulmini e delle tempeste, che dimorava tra le alte montagne ricoperte di querce dalle quali inviava la pioggia per far fiorire la terra, esprimendo così la sua forza fertilizzante. Nel santuario di Giove, costruito da Romolo sul Campidoglio, presso la quercia sacra venerata dai pastori era possibile ricevere messaggi del dio. Attraverso il suono delle foglie mosse dal vento e il tubare delle colombe che abitavano i rami dell’albero, Giove pronunciava il suo volere inviando segnali ai sacerdoti e alle vestali, poiché nel secolare respiro della quercia i fedeli sapevano di trovare la presenza divina.
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CIVILTA’ E CULTURA AGROPASTORALE
Il racconto dei popoli e delle genti
LA PROFONDITA’ DEI BOSCHI
Il paesaggio e la natura
ACQUA E CIELO
Il culto di Mefite e le stagioni
LA BELLEZZA DEL COSTRUITO
ricostruito e riconfigurato
IL MOVIMENTO E LO SCAMBIO
Le vie di comunicazione